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Il tetto

23 m d’altezza

Giorno per giorno, pietra su pietra, la chiesa si presenta sempre più maestosa. In ottobre si terminò la facciata; siamo a 23 metri d’altezza. Otto pilastrini in pietra alleggeriscono la parte più alta. In mezzo sta una croce di 6 metri. In cima, le pietre sporgenti sono in bilico, controbilanciate da blocchi di cemento, legate con spezzoni e ganci di ferro.

Disegno per terra

Dentro, per terra, con lastre di gesso, si preparano le forme delle capriate, che saranno innestate in barre di ferro filettate, sporgenti dai pilastri e poi bullonate.

Carpentiere valdimagnino

L’interno delle capriate è un groviglio di ferro acciaioso d’ogni diametro, distanziato ad arte secondo il disegno. È opera di un valdimagnino (ol Locarì) che andiamo a cercare in mezza dozzina di paesi della Valle Imagna, essendo assente da un’intera settimana. Trovatolo, ci assicura che tra un paio di giorni tornerà al lavoro, perché avrà finito “la raccolta delle nocciole”

Il “falcone”

Trascorsero alcuni mesi d’inverno, fortunatamente mite ed intanto le capriate “maturavano” per bene. Alla fine febbraio 1955, la ditta Romaro di Padova innalzò in mezzo ai muri della chiesa il “falcone“, lo stesso purtroppo che la settimana dopo nello stabilimento di Dalmine, per una manovra errata, toccò i fili dell’alta tensione, uccidendo tre operai.

L’innalzamento delle capriate

Ad una ad una le capriate sono spostate contro le pareti e poi salgono adagio, adagio, finché vengono imbrigliate sulla cima dei pilastri. L’ultima, probabilmente perché era piovuto di notte, al momento d’essere lentamente calata, sfugge e batte violentemente sui pilastri, rimbalzando con un salto di almeno un metro. Grazie a Dio nessuno s’è fatto male e la capriata non ha la minima incrinatura. Senza volerlo ha superato la prova di resistenza ed elasticità. Una rottura avrebbe provocato due mesi di sospensione del lavoro, per rifare un’altra simile. E ciò sarebbe stato un bel guaio.

Le “piode”

Poi le capriate sono collegate con conci, legati con ferro e tutto è coperto da un manto di cemento. Infine, pietre nere, simili a lavagna, che a Valleve chiamano “piode” copre ogni manufatto ed il tetto è finito. Gronde, pluviali e serramenti in ferro alle finestre danno sicurezza che ciò che s’è costruito non subirà più rovina.

Controsoffitto

Dentro, una soffittatura di conci e ferro è appesa con staffe sotto le capriate: ha uno scopo estetico ed anche acustico. L’avevo voluta, ricordando come nella basilica di S. Maria Maggiore in Bergamo Alta, durante la quaresima, si stendesse un enorme telo da sopra il pulpito al pilastrone che gli stava di fronte, per facilitare l’acustica agli ascoltatori.

L’intonaco

Poi fecero internamente i muri a mattoni forati e, dal momento che v’era già il ponteggio, si finì con la “reboccatura” al civile fatto con sabbia del Ticino e calce.

Suor Pasqualina

È di quel periodo che andai nuovamente a Roma con il parrocchiano Moroni Lorenzo, ospiti di sua sorella, suor Rosa, superiora d’una casa religiosa con annesso asilo. Tramite suor Rosa potemmo avere un abboccamento con Suor Pasqualina che aveva in Vaticano la mansione d’organizzare gli aiuti del Papa alle popolazioni in necessità. In mezzo ad un enorme magazzino traboccante di casse, parlammo della chiesa che stavamo costruendo. La suora, non smettendo di lavorare, ci ascoltò e poi prese nota…

200.000 lire da Pio XII

Un paio di mesi dopo, fui convocato in Curia, dove mi consegnarono l’offerta di 200.000 lire inviata dal Papa Pio XII. Non mancò anche una “lavatina di testa“, perché avevo fatto la figura di cercare l’elemosina in Vaticano, “io ch’ero un sacerdote incardinato in Diocesi di Bergamo... e senza avvertire i superiori…” In realtà, quando fui a Roma quella volta, nemmeno sognava suor Pasqualina e una possibile offerta del Papa. E poi le 200.000 lire, senza volerlo, mi avevano abbastanza attutito l’udito e per altrettanta offerta un’altra “lavatina di testa” certamente non me l’avrebbe fatta rifiutare. La necessità è necessità..

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