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La chiesa della luce

Costruire e abitare. È nata così la parrocchia di Brembo di Dalmine, a metà del secolo scorso, per la volontà di Mons. Adriano Bernareggi che, ricevuto in dono del terreno, ne volle fare un luogo in cui costruire la chiesa per la gente delle campagne di Sforzatica.

Una chiesa costruita in pochi anni proprio da quella gente che, nel tempo a disposizione, guidata dal parroco don Giacomo Piazzoli, scavò, pose le fondamenta e innalzò il grande edificio. Gente fedele e devota, laboriosa e caparbia, contraddistinta da una forza che ha segnato la storia della parrocchia sin da quando, nel 1949, in occasione della Peregrinatio Mariae tra le parrocchie bergamasche, una delle tre statue fu, a “furor di popolo”,  fatta sostare anche nella chiesina Pesenti proprio a Brembo, facendone modificare il tragitto.

Una devozione manifestata che portò in dono alla chiesa la stessa statua della Madonna Pellegrina: la chiesa, che doveva essere dedicata a S. Adriano, venne dedicata al Cuore Immacolato di Maria.

Una chiesa costruita e abitata dalle stesse persone che, avendola vista nascere, l’hanno anche vista cambiare, modificata totalmente in alcuni aspetti e conservata in altri in un decisivo e felice lavoro di adeguamento.

Una chiesa recente, anche nelle forme architettoniche, costruita in un lustro, poco prima delle riforme liturgiche conciliari e che, sempre in un breve giro di anni (in due riprese, dal 2005 al 2011), è stata rivestita di una sensibilità nuova, caricandosi di un nuovo senso e di una nuova luce.

Il progetto è degli architetti Paolo Belloni ed Elena Brazìs.

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SPAZIO E LITURGIA

“Mettete nelle chiese la semplicità, la serenità ed il calore delle vostre case” è quanto disse Papa Giovanni XXIII agli architetti francesi. “Uno spazio che parla da solo, ancor prima di fare il segno di croce: uno spazio che è già famiglia” sottolinea oggi il parroco don Cristiano Pedrini, parlando della chiesa di Brembo di Dalmine.  

La chiesa come spazio che deve parlare all’uomo, nella sua volontà di trascendere, di andare al di là di sé stesso.  Uno spazio che è segno di una comunità, viva e dinamica, che ne plasma i contorni e dal quale viene plasmata. Una comunità riunita in un luogo e raccolta attorno ad un gesto che crea un legame profondo.

Un rinnovamento all’insegna della sobrietà e dell’essenzialità. Una rinascita guidata dalla luce: bianco (o meglio, bianchi) e oro i colori che riempiono lo spazio. La chiesa, prima buia e scura, con un pavimento grigio amplificato dal metallo dei banchi, è stata inondata di luce, invasa dallo splendore.

Una luce innervata dal lucernario sopra l’altare, rivestito di foglia d’oro, risaltata dalla sottile lastra in onice del velario alle spalle dell’altare, dalle splendide naturali venature,  catturata dalla sede vivificata da un oro che continua a scorrere nelle frasi di vangelo incise nei banchi e si effonde sul biancore delle superifici. Una luce che con assoluta semplicità rende allo stesso tempo aulico e accogliente questo spazio.

La luce riempie la materia, caratterizzata dall’uso di materiali preziosi come l’onice: da un unico blocco sono stati ricavati altare, ambone, tabernacolo e fonte battesimale. Un’unità, pratica e simbolica, tra gli elementi liturgici più importanti della chiesa che in questo modo si richiamano con forza e continuità appartenendo ad un unico racconto.

L’oscurità resta relegata alla navatella sinistra, realizzata occupando parte del loggiato esterno e sfondando perciò la parete, dove si allineano i confessionali, il battistero e il coro. Un’oscurità in ogni caso permeata dalla luce calda proveniente da una rossa vetrata e da un secondo lucernario, aperto proprio sul battistero. Il battistero, luogo in cui si scende per risalire rinati a nuova vita, non è escluso dai forti significati emozionali e simbolici: la luce in particolari momenti, si rifrange sulla cascata d’acqua che lo percorre e crea una seconda cascata ascendente di riflessi luminosi, segni univoci di rinascita.

Di fronte, una vetrata con la traccia di un albero rimanda al giardino esterno, segno che la presenza di Dio e la sua luce sono vivi nella stessa creazione. Dialogando con i segni geometrici sulle pareti, ci parla di un Dio che entra nel mondo, come seme che spacca la terra, per trasformare l’umanità.

Una chiesa che, pur nell’essenzialità e nella purezza, grazie alle felici scelte progettuali si articola in una serie di continui rimandi tra l’immateriale e la materia, creando uno spazio da abitato con familiarità e semplicità da Dio e dagli uomini.

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